domenica 9 dicembre 2007

Il Carnevale della Rete

Jacques Attali (Attalì in francese), consigliere di Sarkozy, che sempre ragiona di macroeconomia, si è stavolta misurato con l'amore. Attali dice in buona sostanza che la Rete non ha inventato nulla, nulla almeno di diverso dal Carnevale di cui i nicks che si usano in chat e messaggeria istantanea sarebbe la maschera con la quale liberare immaginazioni, pensieri, realizzare vite che non si hanno, presentarsi come in realtà non si è. Attenzione, non bisogna pensare solo ad un inganno malefico dell'altro, consapevolmente deciso per i propri fini difficilmente troppo nobili, ma una sorta di effetto dei mezzi che si usa il quale ci trasforma e ci trasformerà. Senza dubbio per quanto l'amore.
Dice Attalì che se l'amore è - come anche io credo - superare il sè, la Rete che consente libertà assoluta all'individuo, nello stesso tempo imprigiona l'individuo nel "sè" e nella solitudine che inesorabilmente ne deriva. Se l'amore è - come anch'io credo - un progetto con un'altra persona, di cui il primo progetto è abbandonare il "sè, chiusi nel nostro "sè" noi scopriremo altri volti dell'amore. Conosceremo dunque come forma perfetta la masturbazione, perchè imprigionati nel "sè" noi non conosceremo, se mai lo abbiamo conosciuto, un sesso che sia comunicazione e mezzo per realizzarsi e superarsi. Abbandoneremo la monogamia che appunto era una condizione per il progetto e ci avvieremo alla poligamia. Il desiderio non sarà lo strumento dell'amore, ma il solo fine per appagare il proprio "sè".
Ovviamente questa libertà estrema che imprigiona nel "sè" ed è infine solitudine, non riguarda sola Rete, ma la nostra vita in toto. Attali cita come esempio la musica: ci si fa una playlist da sè, la si ascolta in cuffiette separati da tutti e per separarsi da tutti; un esempio molto esplicativo.
Io spesso leggo in un forum lamentele di utenti che protestano di non potere confrontarsi, instaurare rapporti veri e creativi; il primo mio pensiero è che loro stessi sia imprigionati nella solitudine del "sè" e che non cerchino di uscirne, quanto di fargli spazio per essere un "sè" in mezzo a soli e disorientati "sè".
Una sera parlavamo con Loggino di quale sia l'appagamento dell'intortare rapporti così come ci si cambia i calzini? Sono coccole e carezze al proprio solitario "sè" che nella seriale ripetitività di un comportamento, manifesta la sua assoluta assenza di intenzione di uscire dal "sè". Il desiderio non è lo strumento e il percorso dell'amore, ma il solo fine.
Potete leggere interamente l'articolo sull'Espresso di questa settimana.

8 commenti:

loggino ha detto...

Ciao Queen, mi intrufolo, pur non avendo letto l'intero articolo di Attali. Secondo me, l'inutile blandizie del sè che tutte le persone insicure possono facilmente procurarsi tramite intortamento virtuale ha un'ulteriore e ben più devastante conseguenza. Anche le persone sicure di sè, una volta avuto contatto e esperienza di relazione virtuale con chi pratica l'intortamento reiterato, maturano distacco e diffidenza nei confronti di chiunque altro poi incontrino in rete. Perché, non sapendo attribuire il valore di verità di una qualunque frase letta sul monitor, non si fidano più di nessuno. E così l'insicurezza e la paura di mettersi in gioco dilagano per necessità di salvezza. In definitiva mi aspetto che in rete fra un po' resteranno a cercare rapporti apparentemente intimi solo i perversi. Gli altri potranno rimanerci comunque, ma al massimo si informeranno sul tempo che fa dalle parti dell'interlocutore, celebrando lo stereotipo dell'inglese incapace di esprimere qualunque sentimento. Io mi sono già comprata una bombetta e un ombrello.

Anonimo ha detto...

Sì Loggi questa è l'ovvia conseguenza che ci renderà ancora più soli e preda del "sè".
Personalmente, io uso la rete dal lontano 98 e quando ci sono rientrata anni fa è stato per me normale limitarmi a parlare del tempo in perfetto stile inglese, poichè ero già "svezzata". Per altro, io sono di quelli internauti che non possono lamentarsi, avendo avuto piuttosto fortuna nei miei contatti amichevoli e no, ma è vero in personaggi del carnevale della rete mi ci sono imbattuta e spesso mi sono limitata a guardare fino a dove potevano arrivare nella loro recita pur sapendo dove si sarebbero fermati, ma hai visto mai riuscissero a stupirmi? Non è successo ed altre volte di è trattato di sfortunati progetti e destini. Comunque questo rimane un mezzo straordinario sul quale non smettere mai di riflettere e fare analisi. Buona serata Loggi. Io mi spalmo le confetture di arance alla cannella, la vita è così amara :)

Queen ha detto...

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO: Gentili Signore considerato che in questo blog abbiamo le invenzioni di Loggino e ancora i post di Ulixes, lasciati in gentile concessione, ho creduto bene porre il blog sotto la protezione di Creative Commons per tutelarne appunto la creatività. La licenza copre in ogni modo ogni testo pubblicato qui a nome del suo autore, da chiunque.

Anonimo ha detto...

Mi pemetto....
la rete e l'impunità che ti permette di avere, crea e "gonfia" il "se", tanto che molte persone confondono e fanno coincidere le due vite parallele: quella reale e quella virtuale.
Nella seconda, protette da una maschera, proiettano tutto il "loro voler essere", fino a quando, però, il gioco non sfugge di mano.
Perche' i confini di un gioco sono sacri e pericolosi.
Sono quella terra di nessuno in cui le leggi di un ambito svaporano per confondersi con quelle dell’altro e sembra impossibile conoscerle e riferirsi ad esse. Ai margini non solo le relazioni, ma la stessa personalità individuale è a rischio: e' la maschera che inizia a prendere il sopravvento e non si distingue piu' la bugia dalla realtà. Ed inizia il viaggio fuori dalla realtà, tra solitudine indotta e non......
E quindi mi chiedo, siamo noi che pilotiamo il nostro "se" o e' lui che si impossessa di noi?
Attimo

loggino ha detto...

Mi accodo ad Attimo, e insisto nell'affrontare il tema della maschera che dilata o confonde la nostra identità.
La domanda è: quanto è vero Amleto?
A teatro l'attore che lo impersona deve dimenticare se stesso per calarsi nei panni del personaggio. Ma non saprebbe illudere il pubblico di vedere veramente il personaggio di Amleto se non avesse interiorizzato il personaggio di Amleto, cioè se, come persona, non avesse mai riflettuto in vita sua sull'essere e il non essere. E anche noi che vediamo Amleto, non sapremmo comprenderne i conflitti se mai e poi mai ne avessimo vissuti. E' un'eco ciò che ci attrae a teatro, l'eco di miliardi di Amleto che hanno popolato la terra. E' il mestiere di vivere che viene rappresentato: se abbiamo già vissuto un'esperienza analoga, ci risuona dentro nel momento in cui la vediamo agita sul palcoscenico, altrimenti ci scivola addosso senza lasciare traccia. La maschera, il personaggio, o il nick del mondo virtuale appaiono veri solo a chi li vuole vedere veri, cioè solo a chi sente di avere vissuto realmente, anche solo in parte ma realmente, ciò che la maschera racconta. Dietro la maschera, dietro al nick, dietro al personaggio c'è una persona con tutti i suoi validi motivi per voler dare vita a quel particolare simulacro, e non ad un altro. Ho detto una persona - e mi riferisco alla persona intera, cioè non separatamente composta da un "sè" sbruffone con voglie smisurate di sentirsi mongolfiera, e da un "noi" viceversa responsabile raziocinante e cosciente - una persona che deve, se vuole comprendersi un po' di più, analizzare i motivi che la spingono ad indossare una particolare maschera. Magari saranno difficilmente comprensibili, ma ci sono e sono squisitamente nostri, a meno di pensare di essere agiti da un demone o dallo spirito santo. A ciascuno l'affanno di capirsi meglio che può. Però, in questo affanno, credo si dovrebbe tenere presente che se abbiamo voluto indossare una maschera, e con questa maschera siamo stati credibili (solo a coloro ai quali questa maschera risuona) è perché la sappiamo indossare (ovvero perché echeggia una parte della nostra persona). Se non siamo camaleonti, ma al contrario abbiamo un'identità definita, non ci metteremo tutte le maschere possibili. Perché non ce ne fregherà niente di voler essere credibili a tutti. O equivalentemente, di essere amati da tutti.
Una domanda: ma secondo voi, un camaleonte che si guarda allo specchio che colore assume?

Queen ha detto...

Il "sè" è parte di noi, non è un'entità estranea o una creazione, siamo noi. La Rete prima che impunità dovuta al nik, cambia, più o meno consciamente, più o meno marcatamente, chi la usa poichè per i suoi stessi mezzi le parole senza voce ed espressione, affidate all'intuito di chi le legge e la possibilità, sconosciuta all'uomo prima, di correggersi parlando senza far conoscere l'errore all'interlocutore, sono la "rivoluzione" della Rete nei nostri rapporti e nel modo in cui noi viviamo i nostri rapporti. Tutti diciamo, più o meno in buona fede, io penso che chi è di là sia una persona, ma per raggiungere questa persona noi guardiamo un video, noi pigiamo tasti senza nel contempo essere guardati. Estremo esempio: Loggi può scrivere Queen sei un genio, e nel contempo senza che io la veda storcere la bocca. E' solo se io avrò lasciato il mio "sè" e avrò saputo costruire un substrato di fiducia e riscontri di lealtà che il "genio" diverrà vero o falso. Se non lo avrò fatto, e non lo avrò fatto perchè vittima della trappola della Rete e dei suoi mezzi, sarà stato perchè io ho usato come sono stata usata e nell'usare non esiste alcun abbandono del "sé".
Loggi è perseguitata dal quesito dalla recita in rete, ma se qualcuno recita qualcuno assiste e ad ogni recita è tacito accordo non andare mai a svelare l'attore, il trucco.
Interessante sono invece le vite parallele di Attimo, che è direi la norma. Io personalmente so di aver assunto, non in quello che dico, ma in come mi comporto lo ammetto un comportamento diverso dalla mia vita vera al fine di tutelare questa; questa però non è la recita dell'attore, ma cautela ed intenzione di non subire questo mezzo anche se in realtà lo subisco, bensì cercare se non di dominarlo completamente, di tenerlo nello dimensione di mero strumento che mi consente comunicazione con persone le quali diversamente mai sarebbero entrate nella mia vita.
Infine, Attalì come nel suo stile prevedeva ed io credo che abbia ragione, unitamente al fatto che ciascuno ha il proprio "sè" che non diverrà altro a causa della Rete, ma dalle Rete si vedrà assecondato in quello che è già a priori per ragioni non imputabili alla stessa.
Intendo dire che i certi giovani per esempio grandissimi consumatori di Rete sono già analfabeti del rapportarsi e superare il sè, questo è solo il fertile terreno in cui dimenarsi o crogiolarsi. I mascherati sono mascherati prima e prima, prima di tutto con loro stessi per ragioni personali o pratiche, non lo sappiamo. La domanda non è ma la Rete..., la domanda è ma io...ma vivere le persone, le idee, l'informazione non è impastarcisi? E se lo è, perchè non è più così? Forse per l'apparenza di cui la Rete è il tempio e le parole i sacerdoti; oppure perchè inchiodati dal bisogno, dal consumo, dal visogno, da inesistenti necessità, dall'amore per la comodità, dall'egoismo, dalla vigliaccheria nelle nostre case, davanti al video, al caldo e nel comodo noi non superiamo il nostro "sè" e meno ancora consideriamo quelli altrui quando veri, bensì solo quando mascherati, trovando i primi terribilmente noiosi o comunque sviliti dalla banalità dell'eccellenza della normalità. Grazie della vista Attimo, buona giornata

Anonimo ha detto...

Per i motivi di cui ha scritto, non metterò mai più piede in una chat. Augrui a tutte Laura

Queen ha detto...

Se non ti senti a tuo agio, fai bene. Ti auguro a nome di tutte buone feste