domenica 27 gennaio 2008

Giornata della Memoria


E’ là. Dalla direzione del vento il fumo non dell’odore di quello di una stufa spirava sulla città o sui quartieri della periferia arrampicati sul Carso, che di morte e di fumi ne sa qualcosa: le ha raccontate le sue storie nelle parole degli scrittori di qui.

Allieva di un poeta e musicista che durante le lezioni ci suonava il violino, di uno storico diventato maestro di scuola elementare l’ho visitata la prima volta in quinta elementare. Di questi tempi in cui si vogliono tenere i bambini all’oscuro di tutto per poi stupirsi se saranno adolescenti quindi adulti all’oscuro di tutto, che l’abbia veduta insieme ai miei compagni a quell’età, sarà motivo di stupore. Ci andammo con lo scuolabus che ci lasciò sul piazzale e poi imboccammo il tunnel di cemento fino al cortile interno dove si scorge ancora l’impronta di acciaio del forno crematorio con il fumo in ferro, a destra le celle, la sala delle croci con le teche delle cose appartenute ai prigionieri del lager, la cella della morte. Ritornai a casa impressionata ovviamente. Il lungo corridoio che portava alle camere da letto mi pareva quello dell’ingresso al campo, stretto e dalle altissime pareti di cemento armato, come lo vedete nella foto. Mettevano le radio a tutto volume, raccontano i vecchi della case attorno a quello che non si sapeva fosse un lager, accendevano i motori dei camion, abbaiavano sempre i cani. Quando mancava qualcuno nel rione, qualche famiglia, e si veniva a sapere che erano là, era chiaro il destino. Dentro ci sono stati come in tutti gli altri lager: ebrei, slavi, comunisti, partigiani, omosessuali, portatori di handicap, zingari, gente scomoda, ribelli e basta, quelli che fino all’ultimo non appartenendo ad alcuna di queste categorie si erano creduti salvi. Alcuni li tenevano vivi per il tempo necessario ad usarli come manodopera, poi via.
Ci sono tornata da donna adulta proprio nel giorno Giorno della Memoria di qualche anno fa, il giorno del pellegrinaggio ai simboli della vergogna umana. Ho ripercorso il tunnel di cemento armato, un budello di cemento armato. Dovrebbe simboleggiare un argine all’oblio e all’indifferenza. Ho rivisto il cortile, l’impronta del forno, le targhe, i mazzi di fiori secchi che qualcuno posa ancora davanti alle porte delle celle, le corone alla memoria con le fasce delle associazioni dei Caduti, della Regione e del Comune, dell’Anpi, tricolori.
Una donna è passata con un neonato in carrozzina: caspita, non sapevano dove trascorrere la domenica e sono venuti qui.
Sono entrata a destra, dove sono le celle spaventosamente anguste per venti e più prigionieri in un’unica cella. Sui muri sono scritti messaggi politici, addii alle famiglie, imprecazioni di odio, le date in cui sono entrati nel lager. Sono scritti con tutto: con il sangue, con le feci, graffiati, con un moccolo di matita, in slavo, in italiano, in dialetto triestino. Il flash delle macchine digitali, qualche frase di indignazione e cordoglio nella lingua dei messaggi sul muro. Sono andata nel magazzino-museo. Nelle teche gli oggetti delle vittime: occhiali, penne, vecchie foto, orologi, anelli. La guida ci indicava lo spazio vuoto del magazzino: immaginate qui vestiti, valigie, scarpe accatastate, giocattoli che i bambini segnati dalla stella di David sul cappottino avevano in mano al momento dell’arresto, immaginate una giovane donna che dice loro su non piangere, è un gioco, poi torniamo a casa. Se si chiudono gli occhi, li si sente ancora gridare mentre li torturano. Potranno cadere le mura impregnate di dolore. Rimarrà l’eco di cosa è accaduto qui. Ecco cosa è quel qualcosa di terribile che, chi dovesse venire qui fra mille anni quando magari non sarà più così com’è ora alla visita questo luogo, sentirà nell’aria. Se chiudi gli occhi, gli occhi ti piangono delle lacrime loro nel momento in cui hanno capito cosa gli sarebbe successo. Qui si faceva la pilatura del riso prima di quello che si è fatto dopo. Risi le vite fumate dal camino da spargere sulla sicurezza che ordine o sarà rivoluzione e sfacelo… che rivoluzione o morirà la libertà e la pietà. Beate sicurezze trovate nel segno di un partito, nei gradi di una divisa, nelle strade linde; beate e basta così.
Ho immaginato nel mucchio la scarpa di un handicappato che non servono a nulla e fanno ridere, c’era pure il video su Youtube; la gonna colorata di una zingara che sono tutti ladri e infidi, ma non mi ricordavo dove avevo sentito queste espressioni, era stato di recente però e non c’entrava con l’Olocausto. Sono andata nel locale dell’ala sinistra, dove ci sono altre parti del museo. Un sistema proietta continuamente l’attività del comando nazista negli anni di dominazione. La foto di una famiglia ebrea, quelli che fanno le vittime e si inventano tutto. Era un libro, ma non era la storia dell’Olocausto, ed era anche sul giornale tempo fa. E con queste frasi in testa che non sapevo da dove venivano, mi sono fermata davanti alla foto di un partigiano di ventanni, chissà se per caso era quell’amico del mio maestro, partigiano comunista mangia bambini, quello che è tuo è mio, è tutta colpa di un complotto comunista contro di me, ma nessuno mi parlava attorno, dove avevo sentito quelle parole?
Il Male, assoluto, sensato nella sua insensatezza, perché il Male non ha senso anche se ha scopo ossia fare il male ed utilità ossia servire a riconoscere il bene, che ha lacerato la città, il mio Paese, l’Europa, ha squarciato il velo dell’innocenza e ci ricorda ogni 27 gennaio: è vero, può succedere ancora, perché erano uomini e donne come me quelli usciti dal camino, ma lo erano anche quelli di cui guardavo i dettagliati progetti esposti nel museo per un forno che bruciasse più in fretta. In testa, affaccendati a caricarlo di cadaveri, probabilmente avevano l’eco delle parole del Fuhrer, degli ufficiali che gli ordinavano perizia e velocità, battute d’osteria, con un marco non ci compravi neanche un chilo di pane perché i soldi ce li hanno tutti gli ebrei come adesso i romeni ci portano via il lavoro. Cazzate che però a forza di ripeterle al momento giusto e nel contesto fecondo diventano assassina verità.
Sono uscita nel cortile, sono rimasta a guardare l’impronta del forno, mi sono chiesta dov’era Dio quando succedeva tutto questo, quando è successo ancora, mentre sta succedendo: a salvare disperato quello che è riuscito a salvare dalla nostra follia. Si dice follia per dire che non si può immaginare una cosa simile, però è successa, c’è una spiegazione, c’è un prima e un dopo che ha portato a questo. E’ scritto per bene, accademicamente spiegato in tutti i libri che analizzano la storia di quegli anni. Ma allora per cosa abbiamo imparato a leggere e scrivere? Per spiegare altrettanto bene perché no, mai più. Ho pianto di vergogna. Ero nella Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio sul territorio italiano che a quei tempi si chiamava l'Adriatisches Kunstenland. Dice Saviano in “Gomorra”: la morte fa schifo; alcune morti fanno più schifo di altre, sebbene tutte le morti siano uguali.

Il Civico Museo della Risiera di San Sabba, monumento nazionale nella città di Trieste, a causa della carenza di manutenzione e restauro conservativo rischia di essere chiusa ai visitatori di tutta Italia. E’ bene saperlo e ricordarselo nel Giorno della Memoria.

martedì 15 gennaio 2008

Moratoria delle bugie

Diceva Pascal che noi comprendiamo non solo per mezzo della ragione, ma anche con il cuore. Ed io penso a volte sia proprio così. Premettiamo che moratoria significa sospensione. Se Ferrara afferma che l’aborto è l’assassinio perfetto, quindi le donne che lo hanno accettato sono assassine. Noi sappiamo con il cuore come questa affermazione sia una violenza profonda recata alla donna, una vergogna per la stessa persona che lo afferma. Nessuna donna, neanche la più frivola, affronta a cuor leggero l’interruzione di gravidanza. Non è il mito dell’istinto materno. Credere che le battaglie femministe e femminili alle quali si deve il non ancora assurto a dato incontrovertibile che il corpo sia nostro, siano state per noi il cercare di ottenere la patente a qualsiasi nefandezza, è non solo profondamente stupido ed ignorante, ma è cattivo, scorretto, una volgarità di anima e di pensiero alla quale non ci sottoponeva neanche il più ottuso oppositore alla nostra libertà di scegliere. E questa indecenza di opinione la commettono ancora oggi uomini e donne, qualcuno ne approfitta.

Dunque, nessuna donna che per esempio interrompa la gravidanza di un feto portatore di gravissime anomalie lo fa con la soddisfazione di un’assassina, ma è devastata dall’aver generato con il suo partner un essere non perfetto, è terrorizzata di essere portatrice di chissà quale tare che non gli consentirà mai la gioia della maternità serena di un’altra donna, si chiede se sia il compagno ad avere un gene così, compagno che ama e si chiede quanto questo possa influire sulla sua vita di coppia, come madre si chiede quale vita spetterà al nascituro – e non è che sia bello, ricco e perfetto quello che si chiede, ma se sarà amato, se avrà dignità, se capirà, se farà tutta la sua vita che gli è stata donata. La faccia nelle acciaierie ThyssenKrupp o sulla passerella delle veline, non ha importanza, quello che si chiede è se avrà la gioia di essere vivo per quanto la vita gli non risparmierà sofferenze o se la maledirà per essere nato. Non sono poche le coppie che sono andate a pezzi davanti a questo. Nessuna donna abortisce serena il figlio di una violenza per quanto odi l’autore della stessa, perché è parte di lei. A questo proposito, papa Ratzinger ci spiega che quando il seme di un uomo è in una donna, è volere di Dio. E’ volere di Dio anche la stessa violenza Santo Padre?
Insomma questa bella compagnia non ci fa ragionare su quanto da tempo le donne hanno compreso con il cuore, per quanto hanno tanto combattuto ossia per la legge 194. Una specie evoluta come la nostra non può non ragionare sull’aborto che ha portato alla morte troppe donne grazie all’aiuto clandestino di qualche mammana, dei decotti al prezzemolo, dei farmaci presi in dosi massiccie per procurare un emorragia. L’aborto, noi lo sappiamo, è meglio prevenirlo a mezzo della contraccezione e dell’educazione sessuale. All’articolo primo la legge 194 pone proprio la procreazione consapevole, consapevolezza che deve riguardare uomini e donne. Una procreazione consapevole passa appunto per l’educazione sessuale e contraccettiva. Se le statistiche ci dicono che la RU486 è richiesta ed usata soprattutto da donne giovanissime, io ci leggo l’enorme buco nell’acqua dell’una e dell’altra per merito della Chiesa e dell’ingerenza della stessa nella vita politica e sociale di uno Stato laico come il nostro dovrebbe essere.
Se le statistiche ci dicono che ad interrompere la gravidanza sono per lo più donne single, di scarsa scolarizzazione e disoccupate, si evidenzia lo stesso fallimento questa volta dello Stato e della società in toto che anche la Chiesa non ha saputo impedire, parlandoci con coerenza dell’amore per tutti, della dignità della persone che passa attraverso il sapere e la scelta, della dignità del lavoro, della solidarietà e del soccorso da rivolgere a chi dalla durezza della vita è sofferente.
Una considerazione da credente seppure non di confessione cattolica. Ai miei tempi l’ora di religione era obbligatoria e l’insegnante laica che avevo ci spiegava l’importanza del cristianesimo nella storia dell’uomo e della donna. La figura della donna, lo si legge infatti nei Vangeli, cambiò grazie ad esso: gli fu attribuito rispetto, scelta, dignità che non si conosceva prima. E’ nel corpo di una donna che fu messa la vita di Gesù perché nascesse e ci salvasse tutti o, come credo io, ci aprisse gli occhi all’onestà, alla pietà. Affidare questo messaggio a cattivi maestri atei non è di giovamento per la Chiesa Cattolica. Lascia interdetti gli stessi credenti e rivela la sua debolezza che non dovrebbe esserci nella grazia di Dio.


Come tutti leggo della mancata visita di Benedetto XVI alla Sapienza. Ieri sera S. Rodotà, il quale non ha firmato il documento dei professori, diceva che questo è stato un evento mediatico mal gestito finito ancora peggio. Io credo abbia ragione. Non si capisce perchè ai professori e agli studenti non sia riconosciuto lo stesso diritto senza biasimo che sarebbe stato riconosciuto al Pontefice. Papa Ratzinger doveva parlare alla Sapienza, proprio perchè università è luogo del sapere universale come eccelso intellettuale e teologo, se appunto il Rettore che lo ha invitato non fosse andato a cercare così visibilità mediatica, rendendo in tempi molto delicati nei rapporti fra Stato e Chiesa la sua presenza ben altra cosa. A fronte delle legittime contestazioni il Papa ha fatto bene a non andare, per quanto invitati non si va in una famiglia dove la propria presenza è causa di separazioni. Non ci vedo alcuna morte della democrazia. Non si doveva arrivare a questo spettacolo, questo sì. Finiremo sulle tv di tutto il mondo perchè abbiamo dovuto aspettare l'estremo per dire no e questo giorno sarà ricordato come storico per le stesse ragioni, ma non perchè questo Paese sia diventato ignorante e decaduto. A farlo decadere sono tutti colori che oggi danno degli asini ai professori che hanno dissentito sulla decisione del Rettore e del Senato Accademico. Come dicevamo con Loggino, se i laici non reagiscono al troppo frequente ingresso a gamba tesa della Chiesa Cattolica del pontificato Ratzinger nella gestione del nostro Stato, è ovvio che quel vuoto è discutibilmente colmato dall'impulsività di pochi. Anche Woityla fu ospite della Sapienza, ma non successe nulla di simile.

sabato 12 gennaio 2008

La Ricetta dellaTorta di Mele


Per otto persone circa:

250 g di farina 00
100 g di burro o 100 g di margarina
250 g di zucchero
2 uova intere
latte
4 mele mele un pò acidulearoma limone
marmellata (non quella di Loggi, quella è per colazione solo mia)
una bustina di lievito per dolci
una toritiera di circa 28-30 cm di diametro

Allora indicativamente le quantità sono queste, ma poi ci si fa l'occhio e non si pesano più. Fondete, attenzione a non cuocere, il burro o la margarina. Aggiungetevi in un terrina le uova e sbattete il butto con l'apparecchio, otterrete com euna crema, unite lo zucchero, lievito, aromi, poi lo zucchero infine la farina, niente sbattitore perchè ormai vi si impatana. Se il composto non risultasse fluido, aggiungete la latte non freddo. Cospargewte di pangrattato il fondo di una tortiera, verste il composto e sopra adagiatevi le mele. Con un goccio d'acqua sciogliete la marmellata normalmente di arancia o albicocche e poi con essa coprite le mele. Infornate il tempo di leggere i giornali che varia dai 45 min e più a forno non caldissimo, dipende.

Mentre la torta cuoce io leggo i giornali, se non ho finito, spengo il forno e continuo a leggere.
Siccome faccio la torta da quando avevo 15 anni da altrettanto tempo leggo l'Espresso per esempio. Ah io me lo ricordo, quando faceva le grandi inchieste, quando aveva coraggio di mettere in copertina i primi nudi che ora ha tolto perchè ce li mettono tutti, quando stava per diventare un rotocalco come tanti altri ed ora che pare essersi ripreso durante la direzione di una brava giornalista di cui, ma non c'entra la bravura, ora mi sfugge il nome. - Per dire oggi ho comperato la terza pompa da bicicletta, avendo dimenticato di averne altre due. - Questa settimana leggo G. Bocca che scrive di Napoli e della sua monnezza. Fa tutta una premessa che pare un scusarsi e ne avrebbe donde su quanti rimproveri ha ricevuto dopo il suo libro "Napoli siamo noi". Va bè un pò mi girano e un pò su alcune cose ha ragione, ma non riesco a perdonargli quel "plebaglia" sprezzantemente sparato a "Il tempo che fa". Inutile scriva oggi su Repubblica che i no di alcune regioni mostrano quanto sia ancora divisa l'Italia.- Caro Bocca, noi in Friuli Venezia Giulia abbiamo problemi di smaltimento dei rifiuti di cui si parlavano i giornali prima dell'indecenza in cui hanno lasciato cadere la città di Napoli. Prodi, Bassolino, Jervolino sapevano cosa stava accadendo così come sapevano le amministrazioni precedenti. - Non dica plebaglia ai cittadini italiani come lei e me, se proprio lo deve dire, specifichi, perchè pareva lo fossero tutti. Dunque se anche non avesse scritto, nulla sarebbe cambiato, perchè in realtà tutto l'articolo non ci dice nulla che già non sapevamo. Ha in buona sostanza, fatto un tipico giornalismo dei nostri tempi: quello che commenta e non informa; ma immagino non abbia più freschezza di prendersi il taccuino in spalla e andare a vedere, perciò si rifaccia a quello che ha letto - anche lei Saviano? - ricercato tempo fa.

Mi ha commosso invece e spiegato qualcosa il ricordo sulla Repubblica di ieri di uno dei sopravvissuti alla strage della ThyssenKrupp. Dice l'autore: solo da noi operaio è un insulto, una vergogna. In tutta Europa è colui che fa le cose. - Solo da noi succedono molte cose: non appena uno si gira c'è una donna mezza svestita, la Chiesa interferisce coi lavori del Parlamento, i diritti umani sono problemi etici, solo dai noi si fa la moratoria sull'aborto invece che educazione sessuale e contraccettiva, solo da noi atei mangiapreti sono papisti, solo da il proprietario di giornali e tv diventa presidente del consiglio e dà del coglione ai cittadini che non lo votano, solo da noi un ministro chiama bamboccioni i giovani senza posto fisso ancora in famiglia e un altro per definire la retrogadicità di certi uomini, dice siculo pakistani con buona pace di tutti i siciliani; poi ci stupiamo se siamo divisi. Ma d'altra parte solo da noi la politica la fa un attore in piazza nel Vaffanculo Day. - Oggi ovviamente sugli operai mea culpa di tutti, primo il più grande sindacato italiano la CGIL nella figura del suo segretario Epifani. Diceva il testimone oculare della sciagura nell'acciaieria: si è pensato solo al consumatore, ma neanche, direi. Ai soldi del consumatore. D'altra parte, corri a casa in tutta fretta il primo slogan di canale5 era un avviso: statevene a casa, a tutto il resto pensiamo noi, noi vi diciamo di cosa avete bisogno e desiderio, noi cosa pensare, noi cosa votare.

Sul "Venerdì" leggo la lettera di un omosessuale che dice quanto tutti sappiamo e viviamo: le coppie di fatto ci sono già. Ci serve come dice Pezzana il sogno dell'infelicità ossia pagare alimenti, ereditare la pensione e la casa. Questo signore aggiunge che si rende conto come sia più facile per la gente in generale accettare i Malgioglio e Cecchi Paone, ma che è stanco e avvilito - sapesse io - di vedersi identificato con questi personaggi. Idem caro signore. Una volta pensavo che grazie a loro almeno la gente cominciava a pensare. Oggi credo ci facciano un danno oltre ad approfittarsene per la loro pubblicità. Non ho mai in vita mia indossato una cravatta, non ho mai fatto una filippica della mia scelta affettiva, ma neanche mi sono tormentata per fare quanto qualcuno vuole: ho fatto la mie cose e la mia vita, pensando di non fare quello che non vorrei mi venisse fatto. Come tutti. Solo vorrei non spendere decine di migliaia di euro per lasciare in eredità la mia casa ed essere sbattuta fuori da una stanza da ospedale come se fossi un'estranea. Non mi è mai successo, ma è successo ad altri come me e questo basta.

Ok il tempo di scrivere questo post e la torta è pronta. Le mele sono affondate nell'impasto. Uno vede la torta e dice...ah che poche mele. Le mele sono sotto. La torta di mele è una filosofia. Oggi è uno di quei giorni che neanche cerco le risposte, qualora esistessero, alle grande domande della vita: perchè siamo qui? Perchè c'è il dolore, la violenza? Dove andiamo? Oggi è uno di quei giorni che già sapere perchè il pc fa questo rumore da frullatore mi renderebbe felice.


domenica 6 gennaio 2008

O' cuopp



Vuje nun o’ sapit o’ cuopp, mò v’ò dic e’ che se tratt.
O’ cuopp è na carta arravugliata, tu arravuogl’ arravuogl’ e a furia e’arravuglià fai o’cuopp.
A’ sott è sicc e a’ copp è chiatt, quann nun ce staven e’bust e plastic o’ cuopp servev pe cè metter a robb a’ ind.
O’cuopp nun se sape chi ll’ha inventat, a Napul c’è semp stat.
O’cuopp è a borz d’a povera gent, ca a’ dint ce mett doi castagn, na frittur, s’a port appriess e po’ s’a magn.
Pur a’sfugliatell era nun cuopp, po’ c’ann mis a ricott, e candit e mò se chiamm sfugliatell per l’appunto.
O’ Vesuvio è comm a’nu cuopp gigant’ all’incontrario, è nu cuopp cò fuoc a’dint.
Ie ve dic a’verità: certe vvote vulesse fa nu cuopp ruoss, ruoss, ma ruoss chiùù ruoss dù Vesuvio.
Mò cà Natale è passat o’ vuless fa cu’ tutt’a’ cart dè muntagn dè presiep, chell ca uno ce mett a’farin a’ copp pè fa a nev.
O’ vuless fà bell stu cuopp ruoss cu’è muntagn l’è presep’ e’ chistu munn.
Ce vuless jettà a’ind tutt’ a’munnezz, e’ cart sporc e’sta città, tutt’ l’infamità e’ chesta gent e’merd che sape sul arrubbà, che jett sul sang ammiezz a’vì.
Ce vuless jettà a’ind tutt’ o’scur, o’suonn e o’scuorn d’e quartier, d’e vasc’ dind’ e’ vic addò o’sol nun ce trase.
Ce vuless jettà a’ind tutt e’politicant, e’chiacchier, e’ danar e’chi sfrutt sta città.
O’ cuopp avessa addiventà na galera gigant pè tutt e’guapp ca nun sapen campà, ca nun tenen a’ dignità.
Ie lassass for sul e’pann spas senza paur, e’scugnizz cà nun se fann fà, a’ gent che và a’faticà, a’ fantasia e’chesta città, a’ giuventù ca nun se ne và, ca rummann cà pe nu poc e’libertà.
E tutt’ o’ munn veness a guardà stu cuopp ruoss chin e’ robb ca s’adda jettà, cu tutt e’ cose ca nun s’anna fà, e po’ guardass Napul e pensass… comm’è bell sta città.

* Napoli sottoSopra vista di notte da San Martino - foto scattata da me

La Monnezza di Napoli

Se io guardo, e guardo come tutti, la monnezza di Napoli io vedo una cosa che succede solo in quella città. In nessun’altra città del mondo, occidentale, orientale. Piccola, grande, piena di delinquenti, senza delinquenti – qualora ne esistessero – non c’è altra città. Non solo, per quanto ne so negli altri stati i rifiuti valgono posti di lavoro, riciclo ed energia, tutto legalmente. Posto che è impensabile pensare e sostenere una specie di spiegazione che si riferisca ad etnia, sangue o cosa caspita ad una mente bacata possa venire in mente, il problema non può che essere politico ed amministrativo. Un problema di comune, regione, che a questo punto si dovrebbe dimettere, stato, commissari straordinari. Gli egoismi di cui parlava il presidente Napolitano nel suo discorso di fine d’anno. Io sono un’elettrice di sinistra. Il centrosinistra, leggevo ai tempi in cui i napoletani elessero i loro amministratori, si è proposto come il gruppo dirigente che avrebbe risolto, che sarebbe stato onesto, che avrebbe espresso competenza e polso fermi nelle decisioni. Mi dicono che in parte così è stato: Napoli è cambiata sotto queste giunte; evidentemente però non abbastanza. Ma qui c’è la camorra, dice lo scrittore Saviano, bisognerebbe andare a vedere il sistema dei consorzi e delle aziende; sì senza dubbio. Persone informate sui fatti mi dicono che la camorra paga i dimostranti, però in questi giorni io credo che ci sia gente vera ed onesta per strada. E’ successo qualcosa dunque: chi doveva decidere non ha deciso e rimandato sine die, qualcuno ha ricattato e posto veti, le giunte hanno traballato e perché non cadano i veti sono stati accettati, qualche elezione è sempre vicina. E’ dunque un problema di sistema, perché battaglia politica si fa dappertutto nel mondo e tutte le città hanno delinquenza: non succede una cosa del genere neanche nella corrotta Bombay, non commettono questi errori nemmeno le amministrazioni del sudamerica. E’ un problema di due sistemi che noi vediamo anche a livello nazionale: dire sempre di no piuttosto di dire un ragionato sì dopo aver ottenuto alcune garanzie che in fatto di rifiuti sono quelle della salute dei cittadini; di efficienza delle amministrazione e versatilità della burocrazia; ed è un problema di sistema dell’attribuzione e gestione del potere democratico poiché noi siamo una democrazia fino a prova contraria. Sicuramente i sindaci di tutte le altre città del mondo in cui non succede questo, nonostante tutto, sono sindaci di città in uno stato dove il governo non è eletto con il porcellum e non ci sono trenta partiti che noi italiani non sopportiamo più, i cittadini si informano e sono professionalmente informati dai giornalisti, i cittadini praticano o sono costretti da norme severe a praticare la raccolta differenziata, dove la giustizia funziona e non ci sono ministri che rimuovono giudici poiché non c’è niente da scoprire quindi facciano pure, governi che rimuovono generali senza fare errori perché caspita non si portano sogliole in giro per l’Italia a spese dei contribuenti mentre gli stessi non arrivano alla fine del mese, coscienza civile e rispetto dello stato e delle istituzioni, dove non si parla all’infinito ma si realizza e il centrosinistra ne sa qualcosa di stracciarsi le vesti in interminabili tavoli di confronto e a noi la pazienza. Noi sopportiamo, perché dopo andasse male ci aspetta di peggio, ma per riconoscere il peggio bisogna aver provato il meglio.

E intanto Napoli subisce l’ennesima offesa ed umiliazione che crea un’onda di indignazione e di indecenti incompetenze che speriamo arrivi a Bruxelles. Non avremo mica fatto questa Europa solo per pagare di meno il lavoro portando le imprese in Romania e andare al mare in Slovenia senza essere fermati dalla polizia di confine? Speriamo ci tirino le orecchie, ce le stacchino, ci venga un motto di amor patrio da dare a questa Italia una legge elettorale decente la quale fornisca governi capaci di governare dove finalmente speriamo si smetta di fare la politica del bar dello sport, del proprio orto, del ricreatorio parrocchiale e del centro sociale.

martedì 1 gennaio 2008

Non nominare il nome di Dio invano..

...è il titolo di un commento di Eugenio Scalfari (Repubblica, 27 dicembre 2007) ad una lettera al “Foglio” che la signora Binetti ha scritto e il giornale pubblicato. – il “Foglio” è il giornale d’elezione della signora Binetti, non ne dubitiamo poiché il suo direttore si appresta a lanciare una moratoria sull’aborto che per logica porterebbe all’abolizione della legge sull’aborto in quanto superflua. Da notarsi il suscitare nell'opinione pubblica un'assoziazione ossia che pena di morte sia paragonabile ad aborto - Nella lettera la signora afferma che il madornale errore contenuto nelle norme antiomofobia è stato così madornale da far supporre l’intervento della mano divina. Non solo. Questo intervento su questa e altre indispensabili leggi per la comunità sarebbe stato suscitato dalle sue preghiere: in buona, sostanza un miracolo! Scalfari, sottolineando di essere laico e la stranezza che proprio lui lo faccia notare, ricorda citando l’ultima enciclica di papa Ratzinger –Spe Salvi - l’inammissibilità, il peccato che rappresenta per un credente pregare per avere qualcosa in cambio.

Anche il semplice parroco del mio paese, durante le lezioni di religione ai miei tempi obbligatorie, ci insegnava che non si prega per ottenere un piacere, per vincere il lotto, neanche si prega per guarire da una malattia, ma lo si fa perché si chiede la forza di vedere chiaramente in sé e il mondo, di avere la sopportazione e la speranza necessarie nel dolore. Pregare per ottenere un favore, è blasfemia.

Scalfari ricorda alla signora che nell’enciclica il Papa scrive anche come non serva pentirsene o invocare la buona ragione. Non ci sono giustificazioni.

Allora signora Binetti, onorevole di questa Repubblica e non della Santa Sede, io vorrei chiederle di pregare per me in modo che non senta questa indignazione e tristezza - per farle un esempio, tanto grande quanto la sua intolleranza per le donne come me - quando leggo cose simili alle sue affermazioni commesse da pii credenti; se avesse cinque minuti, pregasse per la signora Bhutto laica con il velo; o per tutti quegli uomini e donne che in assenza di norme antiomofobia, pagano il prezzo, spesso con la vita, di preghiere che personalmente credo anche il buon Dio non veda di buon occhio perché Egli non è un ufficio reclami a cui rivolgersi quando il mondo non è – oserei dire grazie al cielo – come lo vogliamo noi. Questa è la mia protesta di cittadina poichè il vigente governo non lo ha fatto, nonostante la plateale interferenza della Chiesa nei lavori parlamentari, in evidente violazione dei Patti Lateranensi.

Il filosofo Habermas dice che un ortodosso integralismo delle religioni e uno scientismo fanatico non servono ad alcunché, quando addirittura non portano alle tragedie alle quali da anni assistiamo. Una chiesa illuminata, qualsiasi essa sia, dovrebbe saperlo e non farsi intimorire dalle dissonanze fra fede e ragione, sapendo appunto che queste hanno da sempre arricchito la teologia.

Aggiungo al post questa riflessione che si richiama la discorso di fine anno del Presidente Napolitano. Nel corso di tutto il discorso il Presidente della Repubblica ha richiamato le sue valutazioni e le sue raccomandazioni alla nostra Costituzione ove si prevedono l'uguaglianza, la tutela della famiglia su cui si fonda la Repubblica ma anche i diritti individuali senza alcuna discriminazione che non possono essere disattesi, il ruolo della Chiesa nei confronti dello Stato Italiano e la laicità dello stesso. Il Presidente ha detto, - esprimendo quella che è per me il meglio della "napoletanità" ossia passione ed intelligenza lucida e brillante, l'attaccamento tenace ai principi e l'apertura assoluta al nuovo - "un misurato e schietto confronto fra Italia e Santa Sede" Come a dire: qua la si tira lunga, non abbiamo da fare tanti sofismi e meno ancora accordi o striscianti interferenze, abbiamo da stare tutti assieme nella misura della nostra Carta Costituzionale, diciamoci chiaro quello che c'è da dire, ciascuno abbia il suo, ne va del nostro progresso in Europa e nel mondo.