Io mi ricordo di strade polverose, di sirene spiegate, di una moltitudine oceanica, di una grande croce su una collina, del solleone d'agosto che picchiava, degli idranti, di interminabili file indiane e di questo discorso, che si è impresso parola per parola nella mia memoria:
Andare a Tor Vergata è stata l'ultima cosa che ho fatto da cattolica, non c'è che dire... ho chiuso in grande. Fino ad allora, la Chiesa era stata la mia seconda casa; nel paese dove sono nata e cresciuta non c'è niente per i giovani, non un campetto di calcio, non una sezione di partito, non un circolo ricreativo, neppure una specie di parco giochi. L'unica cosa che c'era e c'è sempre stata è la chiesa. In chiesa potevi suonare la chitarra, giocare, divertirti e poi pazienza se ti dovevi ascoltare pure la messa, pagavi pegno volentieri pur di starci dentro.
Poi crescendo i giochi finiscono e restano solo le messe e un bel giorno ti accorgi che, non si sa come, ma a furia di prediche, giaculatorie e litanie ti hanno seminato qualcosa dentro. Per quanto tu voglia cancellare, arrabbiarti e dimenticare non potrai mai farlo del tutto. Dentro, in fondo ti resta sempre quel qualcosa. Qualcuno la chiama fede. Ma a pensarci bene, io non so se posso scomodare questo parolone: nella maggior parte dei casi più semplicemente si tratta di un "credo".
Fino a 24 anni tutto il mio tempo libero l'ho passato in chiesa: ho fatto la catechista ai bambini, ero responsabile parrocchiale dell'Azione Cattolica, facevo parte della Pastorale Giovanile della mia diocesi, del Cammino Neocatecumenale, ho cantato nel coro, ho organizzato cerimonie, spettacoli, la festa per il compleanno del parroco, le trasferte in ritiro, ho pitturato le palme a Pasqua, raccolto le ginestre per il Corpus Domini e preparato il presepe a Natale... vivere la chiesa praticamente riempiva la mia vita.
Ora quasi non riesco più a metterci piede in una chiesa.
A 24 anni il mio cervello ha detto basta, il mio equilibrio si è spezzato. Ho passato ben due anni della mia giovinezza a dormire di un sonno profondo. Non sonno in senso figurato... ma quello vero, che bene o male appartiene a tutti per sette, otto ore al giorno, solo che per me durava quasi il doppio. Apparentemente fino a quel momento per chi mi conosceva non avevo niente che non andasse: avevo tanti amici, mi mancavano solo cinque esami all'università, uscivo il sabato sera dopo il pomeriggio passato in parrocchia e scherzavo e ridevo. Non fosse stato che per quel piccolo particolare che non ero fidanzata, direi che sembravo proprio una persona "normale".
Quando ho parlato per la prima volta ad un prete della mia omosessualità l'ho fatto in confessione, come se fosse stato un peccato. L'ho confessato più volte il mio peccato, ogni volta il prete che avevo davanti sbiancava ed io crollavo in lacrime. Una volta mi son sentita dire che la mia omosessualità era come le guerre, le malattie, le brutture dell'umanità derivate dal peccato originale. Io proprio non mi capacitavo di questa cosa, dato che sono sempre stata pacifista e non capivo proprio cosa avessi a che fare io con le guerre. Un'altra volta un frate mi ha dato il bigliettino da visita di uno psicologo che operava in un consultorio. E pure di questo non mi capacitavo: se vengo in chiesa è perchè voglio parlare con un prete, diversamente se volessi parlare con uno psicologo lo andrei a cercare altrove... vi pare?
Io non so perchè mi ostinavo a parlare con questi preti, forse cercavo solo un aiuto, mi aspettavo comprensione dalla mia seconda casa e famiglia, dato che non avevo il coraggio di chiederli alla mia prima casa e famiglia. Forse mi sembrava troppo scontato aspettarmi che un prete mi dicesse "Non ti preoccupare, se Dio ti ha creata così un motivo ci sarà e noi chi siamo per giudicare i disegni di Dio? Non ti preoccupare, non sei malata e qui sarai sempre la benvenuta, anche se deciderai di condividere la tua vita con una donna seguendo il tuo cuore".
Non ho trovato mai nessun prete che mi dicesse queste parole e alla fine ho smesso di chiederle. Forse, evidentemente, è il caso di dire che sbagliavo parrocchie... Delusa, arrabbiata ho creduto di andare via sbattendo la porta, in realtà erano loro che l'avevano sbattuta in faccia a me.
Io non so quanta parte di colpa abbia avuto questa porta sbattuta in faccia nel determinare la mia grave e lunga depressione di cui ho sofferto dai 24 ai 26 anni ed oggi che sono una persona nuova, neppure mi interessa, ma sicuramente non mi ha aiutato ad accettarmi e a vivere bene.
Non è stato facile per me fare piazza pulita del giudizio della chiesa sì da non giudicarmi oltre. Mi sembrava impossibile vivere senza rispettare le regole che avevo imparato e che credevo troppo giuste per essere messe in discussione. Solo nel sonno trovavo l'unico rimedio per un problema senza soluzione.
Fino a quando, un bel giorno, ho capito che se non firmavo un improrogabile armistizio con me stessa, se continuavo ad avere l'impressione di vivere in un mondo che non mi tollera, che non mi capisce perchè non vuole sforzarsi di capire, che preferisce far finta di niente o disprezzarmi, correvo il rischio di reagire con odio, rabbia, frustrazione e risentimento.
Questo rischio mi ha spaventata più di ogni altra cosa.
Da quel momento mi è stato chiaro, che la vera soluzione era quella di non accanirmi più a cercare una soluzione; l'unica cura, quella di lasciarmi in pace; la preghiera più efficace quella di chiedere a Dio il coraggio di modificare ciò che posso e la serenità di accettare quello che non riesco a cambiare.
Se avessi incontrato anche un solo don Franco Barbero prima, ora probabilmente starei ancora lì a combattere la mia piccola battaglia personale nella mia seconda casa.
Invece ora che ho trent'anni il giudizio della Chiesa non mi tocca più, mi lascia indifferente. Le parole del papa non mi stupiscono, non mi destano rabbia, semplicemente ho smesso da tempo di considerarle.
Ma non posso essere ingiusta e fare di tutt'erba un fascio. Conosco troppo bene la chiesa per non sapere che c'è tanta parte di essa che merita rispetto, stima, ammirazione, che fa un lavoro silenzioso, notevole. Fa il lavoro della vera chiesa, quella che aiuta gli emarginati, i poveri, tutti coloro che chiedono aiuto.
Ho avuto modo di conoscere anni fa, durante un incontro di Pastorale, una ragazza di nome Chiara Amirante, che ha cominciato avvicinando tutti i barboni e i derelitti della Stazione Termini e mano a mano è riuscita a mettere su una (o forse ora sono tre...) grandi comunità a Roma di nome Nuovi Orizzonti, che offrono aiuto a tossicodipendenti ed emarginati. La storia personale di questa ragazza ed i suoi occhi come fanali sono cose che non si possono dimenticare.
E sono contenta che Ulixes riceva queste belle risposte da don Franco, chè a 23 anni nessuno meriterebbe di sentirsi giudicato, e per giunta di un giudizio divino, per ciò che è.
Un paio di anni fa ho di nuovo messo piede in una chiesa. Avevo un appuntamento con una mia amica per la presentazione di un libro lesbico, nel centro storico di Napoli, ma la mia amica tardava ad arrivare e, per quella timidezza che col tempo a fatica ho superato, non avevo avuto il coraggio di entrare da sola in quella libreria. Allora ho cominciato a camminare su e giù per San Biagio dei Librai e poi Spaccanapoli, arrivata a Piazza del Gesù sono entrata nella chiesa del Gesù Nuovo. Si stava celebrando una messa e c'erano si e no una ventina di persone. Anni addietro da un confessionale di quella chiesa mi era arrivato il giudizio più duro, quello che più di tutti ho mal digerito: in quanto omosessuale non ero stata ritenuta degna di assoluzione.
Mi sono guardata un pò in giro. C'erano tutti i confessionali occupati, ho aspettato che si liberasse il padre gesuita che mi sembrava il più anziano e burbero. Mi serviva uno che fosse capace di un acceso contraddittorio. Ed invece così non è stato. Ho parlato quasi solo io, della mia storia, di come ero stata giudicata e condannata per quella che non potevo sentire una colpa.
Alla fine, dopo essermi sfogata per bene, vedendo che il mio interlocutore taceva, ho salutato e preso per andar via. Non mi dava soddisfazione averla vinta così facile.
Allora il padre è uscito dal confessionale, mi ha fermato e mi ha chiesto solo: "Ora ritornerà, rimetterà di nuovo piede in una chiesa?" "Non lo so"- è stata la mia risposta.
Oggi in chiesa mi capita di entrarci solo quando sono particolarmente triste o quando piove e non ho un ombrello con me. Ma quasi sempre resto poco, anche se fuori diluvia.
P.S. : Nel secolo scorso John Stuart Mill affermò che le nuove idee attraversano tre fasi di rifiuto.
Prima fase: sono errate.
Seconda: sono contrarie alla religione e quindi la Chiesa vi si oppone.
Terza: sono vecchie scoperte, banali, puro frutto del semplice buon senso e tutti le avremmo pensate se avessimo avuto il tempo, il danaro e l'interesse per farlo.
Io vorrei dire a tutte le mie amiche ed amici gay, lesbiche e trans di essere fiduciosi... in fondo siamo già alla seconda fase.